Nella mente di Tim Burton
È aperta a Milano Tim Burton's Labyrinth, mostra immersiva per apprezzare ulteriormente (se possibile) il suo genio creativo
Credo sia innegabile il fatto che il cinema di Tim Burton rappresenti una tra le più affascinanti emanazioni della Settima Arte. Le atmosfere dei suoi film, i personaggi a cui dà vita e i temi che tratta sono entrati ormai così tanto a far parte della cultura pop e della nostra vita quotidiana da aver reso necessario il conio di un’espressione per indicare tutto ciò che, di sua produzione o meno, aderisce alla sua cifra stilistica - burtoniano, un onore se ci pensate riservato a pochi altri cineasti della storia.
La poetica di Burton è così unica e potente da trascendere il solo mezzo cinematografico e diventare oggetto di interesse a sé. E proprio su questa base è costruita l’esposizione Tim Burton’s Labyrinth, una mostra immersiva inaugurata a Milano lo scorso 13 dicembre, che celebra proprio il regista californiano.
Ideata dalla compagnia spagnola Letsgo e prodotta in Italia da Alveare Produzioni, col patrocinio del Comune di Milano, la mostra ha come tagline “È come entrare nella mia mente!”, citazione proprio di Burton, e non potrebbe esserci descrizione più calzante. Già, perché come dice il nome stesso si tratta di un’esposizione-labirinto dove i visitatori possono perdersi tra le varie sale tematiche, dedicate alle principali opere di Burton e a tutti gli argomenti che gli stanno a cuore, o che lo ispirano, o che lo spronano a disegnare.
Proprio il disegno è l’elemento chiave di questa experience: al di là degli ambienti con installazioni in videomapping e delle statue raffiguranti personaggi di culto, come Jack Skeletron o Edward Mani di Forbice, il cuore pulsante della mostra sono i disegni, i bozzetti, gli sketch e tutte le altre manifestazioni della mente di Burton trasformate in realtà tramite carta e penna.
A stupirmi, di questa visita, è stato proprio il fortissimo legame che si percepisce tra il disegno e il prodotto finale. Non è il bozzetto che è propedeutico al film, ma il contrario: il copione, e quindi la pellicola, non sono che naturali estensioni di tutto ciò che in potenza i pochi tratti delle immagini esposte racchiudono. Come se gli zampilli creativi della sua mente mettessero le radici, i disegni di Burton non sono semplici studi o preparazioni, ma il nucleo pulsante di ciascuna delle sue opere.
Inutile dire come la poetica burtoniana di cui sopra permei ciascuna delle sale, emergendo ora sotto forma di quadro, ora come sketch, ora come modellino. Girovagando tra le sale seguendo un percorso essenzialmente casuale - ogni sala ha da due o quattro porte che conducono verso uscite differenti, con due sole regole: non si torna indietro, e non si richiude una porta ormai aperta - si percepisce chiaramente il processo creativo che sta dietro ogni film di Burton, che si rifà alla profonda connessione tra la sua arte e la sua visione del mondo.
Il bello di questo Labyrinth è proprio che non si limita a essere una retrospettiva, ma porta i visitatori là dove le idee nascono, in una dimensione che rientra quasi nella sfera intima e personale dell’autore. Ma non poteva essere altrimenti, perché il suo cinema è proprio questo: un riflesso della sua personalità e dei valori in cui crede, inscindibile da lui.
Tim Burton’s Labyrinth sarà visitabile presso la Fabbrica del Vapore a Milano fino al 9 marzo 2025.